...NEVER GIVE UP, NEVER GIVE IN...

venerdì 15 aprile 2011

La Fiera di Paese.

Intento ad affilare la spada con la cote, seduto, schiena al tronco, nell’amorevole abbraccio di una quercia, posso solo sentire l’eco lontano del berciare di paese.
Gente che arriva da tutte le vie: ragazzini in braccio alle madri, mandriani col gregge, carri di vettovaglie e pacchiane cianfrusaglie, uomini in tuniche di satin e altri in cotta di maglia.
Si stanno radunando vicino alla chiesa, in una squallida piazza adornata di fieno e lanterne, dove per qualche giorno troneggerà una fiera.
Bancarelle di ogni genere: formaggi dalle malghe, frutti e verdure dai campi, selvaggina dai boschi, birra, vino speziato ed idromele dai monasteri;
Legno intagliato, ferro battuto e lana filata.
Poi cavalli, pecore, bovini, polli e chissà quale grottesca bestia portata da sud, da est, da ovest.
Giocolieri, nani, ballerini, mangiafuoco, saltimbanchi, marionette….addomesticatori di orsi e prestigiatori.
Un turbinio di voci, grida, risa, spaventi, ammirazioni ed applausi tanto forte da aver scalato i pendii boscosi della mia montagna, arrivando ad inquinare il mio elucubrare.

Il solo pensiero di mischiarmi alla calca, di camminare fra gente festante,nobili agghindati ed impomatati, bambini sognanti e famiglie esultanti mi fa rizzare i capelli sulla nuca.
Provo un senso di rovesciamento…dello stomaco, s’intende; una sorta di travaso biliare continuo: spasmi e nausea.
Eppure son curioso.
Sello il mio frisone nero, m’infilo la cotta di maglia, i bracciali e la cappa, anch’essi del colore della notte.
La spada a una mano e mezza, la mia lama del bastardo, agganciata alla sinistra del cinturone, la daga alla destra.
Monto in sella e discendo il sentiero sassoso, frastagliato e snodato;
Mi porto all’ingresso del borgo e mi fermo a fissare la festa: i colori non cambiano.
Non oso fare un passo di più, come l’ombra di un platano mi ergo scuro e immobile ad osservare.
Altra gente sta arrivando, mi passa accanto, canticchia, ride, scherza e affretta il passo, mentre io resto fermo, lo sguardo piantato sui drappi colorati delle bancarelle.

Qualcuno mi riconosce; mi scrutano, guardano di traverso il bardo-orso che vive sulle loro montagne, solitario e tetro senza chiedere nulla, senza dare nulla.
Nessuno mi invita alla festa, nessuno mi chiede una canzone…più che per rispetto, presumo, per paura d’essere passato a fil di spada.
Lo sciamare sulla strada finisce, la fiera esulta, trabocca di gente; vessilli di ogni genere e fantasia garriscono al vento che s’è fatto teso.
Come sono venuto, me ne vado; giro il cavallo e riparto lento, greve e silenzioso…sarò sui monti per l’imbrunire, accenderò un fuoco vivo e vi girerò un cinghiale da condividere con chi davvero mi sa ascoltare e confortare: presumibilmente orsi, lupi e qualche fuorilegge.

2 commenti:

  1. ultimamente il tuo fare bardico-cavalleresco si va accentuando alquanto.. apprezzatamente.
    l'eco, però... lontana, little xon

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  2. ...immediatamente mi è balenata la visione dello zarathustra...

    "giunto a trent'anni, zarathustra lasciò il suo paese e il lago natio, e si ritirò sui monti. là, per dieci anni, senza stancarsi, godette del suo spirito e della sua solitudine... .... quando zarathustra giunse nella più vicina città, situata al confine della foresta, vi trovò molta folla adunata sul mercato: poiché era giunta notizia che un funambolo vi avrebbe dato spettacolo...."

    ... stralci di selvatichezza da assaporare... assaporarsi, amarsi, leccarsi... ogni tanto fa bene...

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Ognuno ha le sue note... più o meno stonate.