Cammino per la strada, ha da poco smesso di piovere, l’aria è ancora umida, il vento gelido, la luna rischiara; il soprabito lungo di pelle fa sembrare la mia ombra quella di un oscuro cavaliere munito di mantello. I passi sono lunghi, veloci, convinti.
Nessun castello mi attende, niente feste né dame, nessun pubblico.
Dovrò sedermi sul letto, nel buio della notte, a “
raccontarmela” come si dice in gergo.
Quando si discute con se stessi, per quanto animata sia la contesa,
difficilmente ci si trova spiazzati da una frase, ammutoliti da una sentenza. La ragione è dalla nostra perché l’avvocato dell’accusa fa anche da difesa.
Curioso è il fatto che da tempo sogno di avvalorarmi…accusa e difesa combaciano sì ma nel giudicarmi colpevole.
Prendo me stesso per la gola e stringo forte, voglio vedermi rantolare al suolo come il peggiore dei briganti. Non sogno la gogna o la forca per me…niente teatrini che
espongano un fetido cadavere alle risa di molti.
Medito e visualizzo l’immagine di me dinnanzi ad un nemico, il più forte.
Alle spade, alle lance…scudi, asce, elmi, una battaglia che non da tregua; lunga, logorante e dolorosa combattuta con coraggio e fierezza, fino alla fine, fino alla morte.
Vesti squarciate e un rigolo di sangue che dalla fronte scende solcandomi il viso, vedo rosso. Urla e sudore, nervi tesi muscoli sopraffatti.
Spadate, boati increduli squarciano il silenzio, la tensione è pietra, la fatica è monumento. Le armi le sento pesanti, più di me, ma le
brandisco e roteando nell’etere mi parlano, sprigionano consigli;
mi incitano alla lotta e allora forza, colpi su colpi, difese, guardie, affondi, arretro, avanzo, tagli, scudi, grida,
imprecazioni, sguardi.
Ho accettato di combattere sapendo che il nemico era più forte, so di dover morire ma senza pianti e lacrime…solo fra urla e rabbia, traumatiche ed epiche scintille di morte.
Il nemico sono io, cadrò in fronte a me stesso, perderò vincendomi…nel mare del conflitto mi affondo, mi annego.
Con gli occhi del vincitore mi vedo finito, a terra, logoro…una maschera di sangue e tumefazioni. Ce l’ho fatta.
Mi sono ucciso, annientato ed ora posso rinascere nelle nuove vesti….
tutt’altro che un’araba fenice, che risorge da se stessa. Non mi hanno umiliato, mi sono umiliato…non mi hanno battuto (a nessuno tale
soddisfazione) mi sono battuto.
Pervaso da un ustionante senso di
oltreomismo mi sento superato, cresciuto migliorato…è tempo che i castelli tornino a tremare sentendo il mio nome, è ora che la terra sappia di aver dato i natali a chi solo si getta, lancia in resta, fra le viscere del mondo.
A che è servito tutto questo?
Per ora conosco solo una verità:sto meglio.
Mi corico sul letto, sotto le calde coperte col viso paonazzo di chi deve esplodere a secondi. Non vedo l’ora di tramutare il mio viaggio notturno in realtà, ridandomi vigore,
riconsegnandomi a quella schiera di eroi fieri e impavidi, dignitosi e sagaci della quale facevo parte e che ora guardo dal basso della mia gretta condizione.
È proprio ora di dare smalto al mo fato, perché esso non possa mai più scorrere fuori dal mio tracciato.