...NEVER GIVE UP, NEVER GIVE IN...

giovedì 24 dicembre 2009

Arileggerci...

Lettori, ammiratori, pezzenti vari sdraiati ai piedi del muro, mendicanti di parole in cerca di ristoro, sbandati, farabutti, dame e cavalieri...a voi tutti un saluto e un sentito arrivederci.

Le "feste" sono attesa, tempo morto buono per riflettere e "nutrirsi di se stessi" come dice sempre un'amico. Tempo fragile in cui esaltare la mia battaglia, in cui scoprire anime nuove e vuoti di pensiero, tanto fascinosi da meritarsi un posto sul muro del futuro.

Alle anime luccicanti che mi accarezzano in altri "NonLuoghi" (come dice una di esse) ingrassetto il saluto, per renderlo più forte e portarmelo nel cuore.

Torneranno i canovacci imbrattati di verbo, qua, su questo lercio e sfavillante muro...per ora il buio e un sincero arrivederci. So che troverete più utile e caro un saluto, che uno sterile augurio. Arrivederci....arileggerci.

Come sempre: scudo alto, elmo basso e lancia in resta...NEVER GIVE UP, NEVER GIVE IN.

SALUTI.

[La Mia Donna, Plasti, Batt(pauerrrr), Blue, Tuttina, Purpa...un saluto speciale lo devo a voi, a (spero molto) presto]

lunedì 21 dicembre 2009

La Resa dei Conti

L’ultima sigaretta, maledizione.
Mi ritrovo accovacciato tra fango e melma, infreddolito, stanco e disorientato; ho finito perfino le sigarette.
Metto l’ultima in bocca e scruto con lo sguardo l’orizzonte. Arriverà la preda, è così vicina.
In questa trincea di catrame pesante, viscoso e putrido sembra che il tempo si sia dimenticato del mio orologio e il mio vacuo mio sguardo si posa sulla radura imbiancata.

Vedo bambini giocare, cani, volatili, fiere d’ogni genere volteggiare verso il cielo creando una colonna d’arcobaleni…luce e fragore, risa, giochi e fiocchi.
Poi strizzo gli occhi e torno a vedere la realtà: un nero lago di liquame questo mio mondo, uno spiazzo torrido e desolato dove anche l’ultima speranza di sentire un fremito nel cuore è svanita; come l’uomo di neve, lasciato al tiepido sole di marzo, aspetta di tornare acqua, anche io mi lascio cadere ristagnante nel patetico loculo che mi sono creato, aspettando che qualcuno chiuda la bara.
Eppur combatto, so di combattere.
Ogni qualvolta la preda sia a tiro penso che infondo anch’io devo mangiare e mesto, zitto e fermo imbraccio il fucile, carico il colpo, la mira, il coraggio, devo sparare. Niente. Il colpo non parte.
Penso a quella vita, a tutte le altre vite e zittisco la canna, non osi urlare.
Ma come, non capisci che così morirai di stenti? Mi dico.
Certo, lo so…i morsi della fame verranno a prendermi di notte e mi trascineranno in un oblio di rantoli in cui i nervi si tendono all’infinito lasciano i muscoli intirizziti come rami di ciliegio dinnanzi alla bora; urla e unghiate sui muri, la morte verrà all’improvviso, mi prenderà per la gola affondando gli uncini malati nella mia carne imputridendola. La fine del perdente.
Devo impedirlo, devo sparare…il grilletto è di ghiaccio. 
Cambio arma, innesco il cane della pistola, devo sparare, niente. Gli occhi si fermano sul languido timore che in me avvampa. Nessun tuono, anche questa è fallita.
Quanto durerà la mia guerra di trincea? È venuto il tempo ormai, la clessidra rilascia dall’alto gli ultimi suoi granelli dopo di ché, sarà la fine.

Rimettiamoci in posa, coperto dall’humus e dalle sterpaglie sorseggio l’ultima goccia di vodka.
Sigarette finite, alcol finito…il fucile bloccato, un solo colpo nella pistola.
È proprio la resa dei conti.
Oh dei, che avete voluto mettermi sul cammino questa prova, sperate di vedermi vittorioso, vero? Bene, perché se uscirò da questo tugurio voi sarete i prossimi, oh si; poco importa se sperate per me, sarete la preda del domani perché questa prova me l’avete messa con sgarbo e io, vi torno la stecca.
Tremerete dannazione, tremerete! Urlo queste parole stringendo i pugni fino a sanguinare, accecato dalle lacrime che s’affacciano al mondo violando la porta delle mie palpebre.
Ricaccio il cuore nel petto, il respiro nei polmoni…mi accuccio, s’attenda il tuono.

lunedì 14 dicembre 2009

Il Torneo della Notte

Cammino per la strada, ha da poco smesso di piovere, l’aria è ancora umida, il vento gelido, la luna rischiara; il soprabito lungo di pelle fa sembrare la mia ombra quella di un oscuro cavaliere munito di mantello. I passi sono lunghi, veloci, convinti.

Nessun castello mi attende, niente feste né dame, nessun pubblico.
Dovrò sedermi sul letto, nel buio della notte, a “raccontarmela” come si dice in gergo.
Quando si discute con se stessi, per quanto animata sia la contesa, difficilmente ci si trova spiazzati da una frase, ammutoliti da una sentenza. La ragione è dalla nostra perché l’avvocato dell’accusa fa anche da difesa.
Curioso è il fatto che da tempo sogno di avvalorarmi…accusa e difesa combaciano sì ma nel giudicarmi colpevole.
Prendo me stesso per la gola e stringo forte, voglio vedermi rantolare al suolo come il peggiore dei briganti. Non sogno la gogna o la forca per me…niente teatrini che espongano un fetido cadavere alle risa di molti.
Medito e visualizzo l’immagine di me dinnanzi ad un nemico, il più forte.
Alle spade, alle lance…scudi, asce, elmi, una battaglia che non da tregua; lunga, logorante e dolorosa combattuta con coraggio e fierezza, fino alla fine, fino alla morte.
Vesti squarciate e un rigolo di sangue che dalla fronte scende solcandomi il viso, vedo rosso. Urla e sudore, nervi tesi muscoli sopraffatti.
Spadate, boati increduli squarciano il silenzio, la tensione è pietra, la fatica è monumento. Le armi le sento pesanti, più di me, ma le brandisco e roteando nell’etere mi parlano, sprigionano consigli;
mi incitano alla lotta e allora forza, colpi su colpi, difese, guardie, affondi, arretro, avanzo, tagli, scudi, grida, imprecazioni, sguardi.
Ho accettato di combattere sapendo che il nemico era più forte, so di dover morire ma senza pianti e lacrime…solo fra urla e rabbia, traumatiche ed epiche scintille di morte.
Il nemico sono io, cadrò in fronte a me stesso, perderò vincendomi…nel mare del conflitto mi affondo, mi annego.
Con gli occhi del vincitore mi vedo finito, a terra, logoro…una maschera di sangue e tumefazioni. Ce l’ho fatta.
Mi sono ucciso, annientato ed ora posso rinascere nelle nuove vesti….tutt’altro che un’araba fenice, che risorge da se stessa. Non mi hanno umiliato, mi sono umiliato…non mi hanno battuto (a nessuno tale soddisfazione) mi sono battuto.
Pervaso da un ustionante senso di oltreomismo mi sento superato, cresciuto migliorato…è tempo che i castelli tornino a tremare sentendo il mio nome, è ora che la terra sappia di aver dato i natali a chi solo si getta, lancia in resta, fra le viscere del mondo.

A che è servito tutto questo?
Per ora conosco solo una verità:sto meglio.
Mi corico sul letto, sotto le calde coperte col viso paonazzo di chi deve esplodere a secondi. Non vedo l’ora di tramutare il mio viaggio notturno in realtà, ridandomi vigore, riconsegnandomi a quella schiera di eroi fieri e impavidi, dignitosi e sagaci della quale facevo parte e che ora guardo dal basso della mia gretta condizione.

È proprio ora di dare smalto al mo fato, perché esso non possa mai più scorrere fuori dal mio tracciato.