...NEVER GIVE UP, NEVER GIVE IN...

martedì 14 dicembre 2010

Il Dito Del Fato

“…Buongiorno da Palazzo Madama, sono le 8:53 e tra poco cominceranno le discussioni di voto che porteranno alla tanto annunciata richiesta di fiducia da parte del governo…”
La radio sfrigola, intercetta un’altra frequenza poi torna sulle parole dell’inviato; la spengo.
Arrivo nei pressi del Senato, parcheggio, prendo zaino e cartellino; passo a pochi metri dal reporter che stavo ascoltando prima, tronfio ed emozionato racconta la grande agenda politica di oggi.
Il governo sta per cadere: chiederà la fiducia per cercare di restare pateticamente attaccato agli sgonfi salva genti di una nave che sta già colando a picco.
Ma è il loro mestiere; assomigliano a diverse specie di insetti che passano la vita a farsi il bozzolo, senza mai cambiare pianta.
Dall’altra parte un’opposizione ignobile e indegna cerca di riprendersi le sedie di El Dorado, creando le più aberranti alleanze tanto per superare in numero l’esecutivo.
Passando per il piazzale davanti alla sede del Senato assisto ad uno spettacolo socio-faunistico unico.
L’ala più impomatata del parlamento assomiglia parecchio ad uno zoo; al posto di orsi, cammelli e pinguini si vedono ruffiani, portaborse, raccatta-voti, notai e avvocati di partito, spie, sbirraglia…un bell’ambientino.
Arrivo sul lato del palazzo, davanti alle porte del cantiere.
I celerini visionano il cartellino, mi squadrano, abbozzano una perquisizione, mi lasciano entrare.
Pochi istanti per salutare qualche carpentiere, depistando troppe occhiate, e sono dentro.
Le cantine di Palazzo Madama.
Da 23 giorni percorro avanti e in dietro questi cunicoli, li conosco a memoria, anche al buio.
Si sono domandati perché un giovane insegnante di storia si sia dato alla manovalanza; oggi avranno la risposta.
Da tre settimane abbondanti sfrutto la copertura del cantiere per preparare il mio regalo di natale alla classe dirigente: ho piazzato esplosivo rudimentale in tutti i tunnel della cripta, malamente collegato con quel poco che ricordo di elettronica.
Qualche amico ha fornito il materiale, il tempo e la pazienza mi han permesso di finire…una crisi di governo? L’occasione migliore.
Arrivo nella sala più grande delle cantine dove ho sistemato il detonatore, mi siedo accanto ad una pila di esplosivo, la schiena appoggiata ad una colonna; accendo l’MP3, qualcuno nelle cuffie urla una melodia veloce e rabbiosa…stappo una bottiglia di rossa trappista, del Belgio.
Una doppelbock spillata fresca, in un pub immerso tra le montagne della Baviera sarebbe stata meglio, ma tant’è.
Un sorso e la corposa rossa è dimezzata; raccolgo il detonatore e lo guardo: c’è incisa un a lettera, la sua.
Lei era mia.
Era giovane e bella, piena di vita, di forza e di volontà; stava manifestando, 8 mesi fa, contro la riforma della scuola. Da brava ricercatrice universitaria chiedeva allo stato che non venisse accoltellato il futuro suo e dei suoi colleghi.
La polizia caricò, senza ritegno, senza remore…forti di manganello e bastone falciarono il corteo con quella rabbia malata che in natura si vede solo sotto una divisa nero-blu.
Le spaccarono le ossa, quasi tutte.
Quattro operazioni la riportarono tra i vivi ma la misero su di una sedia a rotelle: per sempre.
All’idea d’esser tornata così, pensò che sarebbe stato meglio restare all’inferno e, a poco a poco, lasciandosi sfiorire, vi tornò.
Il giorno che ne salutai le ceneri, spargendole sui monti che avevano visto nascere il nostro amore, giurai vendetta.
Oggi il governo cerca di restare in piedi, l’opposizione prova ad abbatterlo…hanno bisogno di tutti i voti possibili, ci saranno statisti e portaborse ovunque; il palazzo brulica.
Accarezzo quel telecomando, ora più che mai simbolo del controllo sul prossimo, stappando la seconda rossa belga.
Mi accendo una Marlboro, l’ultima sigaretta del giustiziato.
Ma oggi non sono il condannato, no. Oggi sono giudice, giuria e boia…sparirò con loro, con tutti loro…non sarò ne latitante ne carne da patibolo. L’unico latitante oggi è lo Stato.
Lo Stato, il sistema…il becero parassita che da sempre disossa le carni imputridite dei contribuenti ingrassando a vista d’occhio, la bestia sanguinaria che ammazza e reprime, quella scure…così pesante e affilata, che abbattendosi sul collo della mia vita ha portato con se tutto ciò che avevo.
Lei…me l’hanno portata via; l’hanno calpestata, dilaniata, ammazzata. E l’unica giustizia che un regolar processo m’ha garantito è quella di poter sperare in una causa ventennale dalla quale riceverò, forse, una parca ricompensa.
Ma oggi il processo è mio. Veloce e definitivo, senza gradi ne appello… l’unico verdetto possibile: vendetta!
Scolata la terza ed ultima birra mi ritrovo con la testa sulla colonna, guardando in alto, piangendo.
Perché piango? Perché penso a lei? Perché sto per salutare il mondo che una volta vivevo con fierezza? Perché in fondo so che sto per ammazzare centinaia di persone? Perché la birra è finita?
Chi lo sa. Non so neanche come finirà.
Immagino che parleranno di un folle, un decerebrato…un deluso dalla vita, un inetto che credeva in colpe che il buon Stato non ha e se ne vendica in modo vigliacco.
Chissà quanta parte di popolo, imbonita dalla tv, sarà con loro.
Non fa nulla; io oggi sono il popolo.
Mi asciugo le lacrime, un pensiero veloce a lei (chissà se c’è un posto in cui ci incontreremo…come ciarlano i preti), un pensiero veloce a tutti,un vago sorriso e il dito sull’interruttore.
Di sopra s’è animata la contesa, le stanze piene, gli uffici e il piazzale stracolmi; il presidente del Senato prende la parola per riportare la bagarre su vie meno indignitose… tutto trema, tutto crolla. Fine.