...NEVER GIVE UP, NEVER GIVE IN...

giovedì 24 dicembre 2009

Arileggerci...

Lettori, ammiratori, pezzenti vari sdraiati ai piedi del muro, mendicanti di parole in cerca di ristoro, sbandati, farabutti, dame e cavalieri...a voi tutti un saluto e un sentito arrivederci.

Le "feste" sono attesa, tempo morto buono per riflettere e "nutrirsi di se stessi" come dice sempre un'amico. Tempo fragile in cui esaltare la mia battaglia, in cui scoprire anime nuove e vuoti di pensiero, tanto fascinosi da meritarsi un posto sul muro del futuro.

Alle anime luccicanti che mi accarezzano in altri "NonLuoghi" (come dice una di esse) ingrassetto il saluto, per renderlo più forte e portarmelo nel cuore.

Torneranno i canovacci imbrattati di verbo, qua, su questo lercio e sfavillante muro...per ora il buio e un sincero arrivederci. So che troverete più utile e caro un saluto, che uno sterile augurio. Arrivederci....arileggerci.

Come sempre: scudo alto, elmo basso e lancia in resta...NEVER GIVE UP, NEVER GIVE IN.

SALUTI.

[La Mia Donna, Plasti, Batt(pauerrrr), Blue, Tuttina, Purpa...un saluto speciale lo devo a voi, a (spero molto) presto]

lunedì 21 dicembre 2009

La Resa dei Conti

L’ultima sigaretta, maledizione.
Mi ritrovo accovacciato tra fango e melma, infreddolito, stanco e disorientato; ho finito perfino le sigarette.
Metto l’ultima in bocca e scruto con lo sguardo l’orizzonte. Arriverà la preda, è così vicina.
In questa trincea di catrame pesante, viscoso e putrido sembra che il tempo si sia dimenticato del mio orologio e il mio vacuo mio sguardo si posa sulla radura imbiancata.

Vedo bambini giocare, cani, volatili, fiere d’ogni genere volteggiare verso il cielo creando una colonna d’arcobaleni…luce e fragore, risa, giochi e fiocchi.
Poi strizzo gli occhi e torno a vedere la realtà: un nero lago di liquame questo mio mondo, uno spiazzo torrido e desolato dove anche l’ultima speranza di sentire un fremito nel cuore è svanita; come l’uomo di neve, lasciato al tiepido sole di marzo, aspetta di tornare acqua, anche io mi lascio cadere ristagnante nel patetico loculo che mi sono creato, aspettando che qualcuno chiuda la bara.
Eppur combatto, so di combattere.
Ogni qualvolta la preda sia a tiro penso che infondo anch’io devo mangiare e mesto, zitto e fermo imbraccio il fucile, carico il colpo, la mira, il coraggio, devo sparare. Niente. Il colpo non parte.
Penso a quella vita, a tutte le altre vite e zittisco la canna, non osi urlare.
Ma come, non capisci che così morirai di stenti? Mi dico.
Certo, lo so…i morsi della fame verranno a prendermi di notte e mi trascineranno in un oblio di rantoli in cui i nervi si tendono all’infinito lasciano i muscoli intirizziti come rami di ciliegio dinnanzi alla bora; urla e unghiate sui muri, la morte verrà all’improvviso, mi prenderà per la gola affondando gli uncini malati nella mia carne imputridendola. La fine del perdente.
Devo impedirlo, devo sparare…il grilletto è di ghiaccio. 
Cambio arma, innesco il cane della pistola, devo sparare, niente. Gli occhi si fermano sul languido timore che in me avvampa. Nessun tuono, anche questa è fallita.
Quanto durerà la mia guerra di trincea? È venuto il tempo ormai, la clessidra rilascia dall’alto gli ultimi suoi granelli dopo di ché, sarà la fine.

Rimettiamoci in posa, coperto dall’humus e dalle sterpaglie sorseggio l’ultima goccia di vodka.
Sigarette finite, alcol finito…il fucile bloccato, un solo colpo nella pistola.
È proprio la resa dei conti.
Oh dei, che avete voluto mettermi sul cammino questa prova, sperate di vedermi vittorioso, vero? Bene, perché se uscirò da questo tugurio voi sarete i prossimi, oh si; poco importa se sperate per me, sarete la preda del domani perché questa prova me l’avete messa con sgarbo e io, vi torno la stecca.
Tremerete dannazione, tremerete! Urlo queste parole stringendo i pugni fino a sanguinare, accecato dalle lacrime che s’affacciano al mondo violando la porta delle mie palpebre.
Ricaccio il cuore nel petto, il respiro nei polmoni…mi accuccio, s’attenda il tuono.

lunedì 14 dicembre 2009

Il Torneo della Notte

Cammino per la strada, ha da poco smesso di piovere, l’aria è ancora umida, il vento gelido, la luna rischiara; il soprabito lungo di pelle fa sembrare la mia ombra quella di un oscuro cavaliere munito di mantello. I passi sono lunghi, veloci, convinti.

Nessun castello mi attende, niente feste né dame, nessun pubblico.
Dovrò sedermi sul letto, nel buio della notte, a “raccontarmela” come si dice in gergo.
Quando si discute con se stessi, per quanto animata sia la contesa, difficilmente ci si trova spiazzati da una frase, ammutoliti da una sentenza. La ragione è dalla nostra perché l’avvocato dell’accusa fa anche da difesa.
Curioso è il fatto che da tempo sogno di avvalorarmi…accusa e difesa combaciano sì ma nel giudicarmi colpevole.
Prendo me stesso per la gola e stringo forte, voglio vedermi rantolare al suolo come il peggiore dei briganti. Non sogno la gogna o la forca per me…niente teatrini che espongano un fetido cadavere alle risa di molti.
Medito e visualizzo l’immagine di me dinnanzi ad un nemico, il più forte.
Alle spade, alle lance…scudi, asce, elmi, una battaglia che non da tregua; lunga, logorante e dolorosa combattuta con coraggio e fierezza, fino alla fine, fino alla morte.
Vesti squarciate e un rigolo di sangue che dalla fronte scende solcandomi il viso, vedo rosso. Urla e sudore, nervi tesi muscoli sopraffatti.
Spadate, boati increduli squarciano il silenzio, la tensione è pietra, la fatica è monumento. Le armi le sento pesanti, più di me, ma le brandisco e roteando nell’etere mi parlano, sprigionano consigli;
mi incitano alla lotta e allora forza, colpi su colpi, difese, guardie, affondi, arretro, avanzo, tagli, scudi, grida, imprecazioni, sguardi.
Ho accettato di combattere sapendo che il nemico era più forte, so di dover morire ma senza pianti e lacrime…solo fra urla e rabbia, traumatiche ed epiche scintille di morte.
Il nemico sono io, cadrò in fronte a me stesso, perderò vincendomi…nel mare del conflitto mi affondo, mi annego.
Con gli occhi del vincitore mi vedo finito, a terra, logoro…una maschera di sangue e tumefazioni. Ce l’ho fatta.
Mi sono ucciso, annientato ed ora posso rinascere nelle nuove vesti….tutt’altro che un’araba fenice, che risorge da se stessa. Non mi hanno umiliato, mi sono umiliato…non mi hanno battuto (a nessuno tale soddisfazione) mi sono battuto.
Pervaso da un ustionante senso di oltreomismo mi sento superato, cresciuto migliorato…è tempo che i castelli tornino a tremare sentendo il mio nome, è ora che la terra sappia di aver dato i natali a chi solo si getta, lancia in resta, fra le viscere del mondo.

A che è servito tutto questo?
Per ora conosco solo una verità:sto meglio.
Mi corico sul letto, sotto le calde coperte col viso paonazzo di chi deve esplodere a secondi. Non vedo l’ora di tramutare il mio viaggio notturno in realtà, ridandomi vigore, riconsegnandomi a quella schiera di eroi fieri e impavidi, dignitosi e sagaci della quale facevo parte e che ora guardo dal basso della mia gretta condizione.

È proprio ora di dare smalto al mo fato, perché esso non possa mai più scorrere fuori dal mio tracciato.

giovedì 26 novembre 2009

DECISONE, ARDORE, VENDETTA!

Cosa faresti tu? Come agiresti se ne fossi protagonista?

Quella domanda e il discorso che ne seguì riempirono il mio cervello di dubbi, di ansie, di domande, di certezze.
Quell’uomo così tenebroso, così sapiente e misterioso me la pose con una calma e una convinzione che parevano disumane, in una serata caratterizzata da un tempo ingrato, reso mistico dal confronto col tormento del mio animo.

Pensa, se qualcuno avesse fatto qualcosa a chi per te è importante…
poniamo che verso questa persona siano stati commessi torti atroci, un numero imbarazzante di angherie che lente hanno agito come coltelli sulla carne della sua psiche.
Alcuni crimini commessi da fantomatici predatori del disgusto sono volontari, altri no…altri addirittura son stati commessi con il benestare della vittima, col suo consenso, tanto da farti credere che a lei stessa piacesse rapportarsi con la sofferenza, lo sdegno e l’assurdità di tali azioni.
È la vittima stessa che te lo racconta, innocente, incosciente di essere la causa di un fremito nel tuo cuore, di una mancanza di respiro, di ore di nero emotivo…la vittima sta male e tu lo sai;
anche tu stai male perché la via è doppia, la casistica è biforcuta…
da una parte azioni ripugnanti di indubbia immoralità pendono su di te, che non le hai neppure commesse, come una spada di Damocle; dall’altra fatti che a te solo sembrano riprovevoli, che tu non avresti mai compiuto, e che sono accaduti facendoti provare una sorta di delusione, di pena nei confronti della vittima.
Tu sai che son aberranti ma lei stessa non se ne rende conto.
Devi soffrire, ragionarci, deprimerti senza avere alcuna colpa…come un neonato deve soffrire le colpe del peccato originale pur essendo in vita da un sospiro, solo perché qualcuno ah identificato in un dio malizioso e punitore la fonte di creazione dell’esistenza globale.
Vada come vada, mio caro ed innocente amico, devi pagare delle colpe che non sono tue, devi addormentarti ogni notte con negli occhi l’immagine di quelle angherie che solo nella tua visione del mondo pongono un velo di nera negatività sull’essere umano.
Capisci? Dovresti soffrire gratuitamente….senza avere colpe.
Come agiresti se ne fossi protagonista?

Gli occhi di quell’uomo non si sono mai mossi da una posa superbamente apatica, non ho elementi per capire il suo stato d’animo ma conosco bene il mio: afflitto, turbato nel profondo;
provo a rispondere…

Se fossi vittima soverchiata da qualcun altro, cercherei di cancellare il male fatto, nei limiti del possibile…se occorre potrei decidere di prendermela con chi è in torto.
Pagare debiti che non ho contratto mi sembra assurdo…qualcosa farei.

I suoi occhi si alzano, il ghigno quasi strafottente…ha da ridire.

Non puoi cancellare…sono nati questi fantasmi e rimangono incisi nella pietra della storia, scritte indelebili nella mente dei protagonisti.
Puoi invece decidere di intervenire sul colpevole…vendetta, sacrosanta vendetta.
Ma tutto ciò che è accaduto è stato compiuto all’infuori di te…sei tu che stai pagando, è vero, ma non centri comunque nulla con l’accaduto.
Non è affare tuo, non te ne dovresti interessare.
La società ti guarderebbe come un gretto individuo che opprime con la sua violenza il prossimo e s’interessa di fatti che non riguardano direttamente la sua vita.
La questione sembra meramente filosofica ma tu ci metti un’azione che può decretare la tua immediata decapitazione sulla piazza della vita, da parte del boia sociale.
Nessuno capirebbe, nessuno ti appoggerebbe e per di più non saresti sicuro del fatto che la vendetta possa essere la via della guarigione.
Alla luce di queste considerazioni…cambia il tuo punto di vista?

Ha ragione…quell’uomo ha fottutamente ragione…non è affar mio, nessuno capirebbe, non son sicuro che serva a qualcosa;
ma sapere tutto questo non fa altro che aumentare la rabbia dentro me, un esplosione di sensazioni che bussano alla porta di un paio di occhi vitrei, riflesso di un’anima violenta, sopita nel tempo e risvegliata con ardore. È la rabbia a guidare i miei pensieri, il mio corpo si scalda, se cadesse la neve si scioglierebbe a contatto con esso, con la mia mente, con la mia anima…i ragionamenti di dolore e le immagini di morte guidano la mia risposta…
 
No. Non cambierei visione delle cose…anzi.
Sono sempre più convinto che solo la vendetta, truce, violenta possa essere la via per stare meglio.
È una questione di giustizia, mera giustizia personale…chi deve pagare paghi!
Che la vittima fosse accondiscendente o no non mi interessa…non cambia la gravità dell’accaduto.
Esploda la società, si fottano i benpensanti, a morte la morale, all’inferno la legge…io mi vendicherei qualunque fosse il risultato, chi è in errore soffra!
Vada come vada, la via è la vendetta.

Egli alza per la prima volta il capo, mi guarda negli occhi, sempre con un’inquietante apatia.
Ora però lo sguardo vira verso un'altra connotazione…è fiero, contento, pieno di approvazione.
Quell’uomo è fiero di me, della mia risposta…contro tutti e tutto prende un ultimo infernale respiro e con un deciso movimento delle labbra esclama a voce bassa una sola parola…

Esatto!

venerdì 6 novembre 2009

Epitaffio.

In doverosa memoria di colei che sola ha portato il sole su tanti visi; estenuante la sua lotta per salvarsi, finita fredda e virtuosa nel tempo passato.
Più d’un’anima poté trarre giovamento dalla sua presenza, da quel divenir presenza che lei sola esercitava con furore.
Molt’altri non avrebbero voluto conoscerla ma rassegnati alla sua mastodontica imposizione hanno pazientemente aspettato che ella si spegnesse…ed ora che smorta giace nei ricordi di chi l’aspetta ancora, essi trovano modo di riverirne la partenza.
Cantiamo l’anima di chi anima non ha avuto, di chi gesta non ha commesso, di chi non è esistito se non nel ripetersi del tempo.
Un ricordo commosso degli avversari, un caldo arrivederci dei congiunti.
Per ora, solo un addio.


Queste le fosche parole di un epitaffio.
A te, estate, dedico queste frasi…un fazzoletto di lettere poste a saluto di te che vai, per lasciare spazio alla stagione, sola, in grado di farmi sentire un mondo che rinasce.
Con le tue torride armi hai seccato l’orizzonte dei viventi, ma ora torna la pioggia, l’aria fredda, frizzante e viva…torna il calore prodotto dai fuochi compagni, dai lumi deboli e servili che onorano il buio, calato veloce e tetro per ridare agio a quegl’occhi così provati dal tuo sole.
Torna Novembre.
Oh Novembre…quanto è dolce e lieto il tuo nome…quel suono che mi ricorda il possente e truce avanzare della notte che con agile alito appoggia su di noi le sue vesti.
L’oppressione del caldo è lontana, si intravedono le nubi, si respira la brezza e tutto tace.

Finir del pomeriggio, il sole carminio abbassa le armi e si depone dietro la bruna montagna…avanza un manto indaco, resta solo una linea arancio fra il cielo e la terra;
e là, da dietro le spalle gonfie de’ monti avanzano lenti e fieri cumuli di grigio sperare. Nuvole.
Cirri, cumulonembi e nembostrati intonano la cavalcata…avanza il plotone e imperioso si ferma a coprir le cime.
Il colore è di un nero splendente, di un bianco cupo e selvaggio…tumulti.
Niente scrosci o detonazioni…con aria leggera si accende la montagna, e languida resta sotto la nube trepidante e pulsante. Ora è sua, tra poco sarà bianca, il plotone porta neve.
Solo in alto per ora, è lontano l’inverno…ma domani il vento calerà frettoloso sul fianco dei boschi portando a noi una fetta di quell’aria, un po’ di quel gelo che arriva diretto a tagliar la pelle, ad accendere il cuore.
E con una lacrima mi torna la vita.
S’avvicendano parole e opere nel grembo attorno a me…egli scorre e rallenta, ma il cuore mio è rinfrancato e per ora non posso che sperare nella durata di questo autunno. Quando finirà, sarò sempre sicuro del suo ritorno.
È così che van le cose: infervorati e laidi, stanchi per l’insuccesso del quieto vivere, ci troviamo spaesati e commossi quando arriva la gioia…e ci troviamo ad elogiare ciò che qualcun altro odia.

giovedì 29 ottobre 2009

Storia Vera ed Incredibile

Canteremo oggi la storia d’un uomo senza nome, volto né patria, che prese in mano le redini del suo destino stando fiero sull’arcione e col volto rivolto alla luce.
Era questo un guerriero vincitore di infauste battaglie, portatore di ombre, di spiriti, di grida.
Cavalcava sull’ali della ferocia un tempo colmo d’ingiustizie e di mali pensieri; portava con sé morte, fame e dolore lasciando un ricordo, nelle menti impresso, di spavento e di ghiaccio, col fioco lume d’una redenzione possibile, scansata ed odiata.
Provava pena e ribrezzo per quel che faceva ma continuava indomito a cavalcar l’onda delle nubi, il fragore della violenza, l’odore della vergogna.
Mai avrebbe egli potuto dar vita a qualcosa se non ad un deserto di arida follia, a un miraggio di oscure penombre forgiate nella vendetta e nello scalpore. 
Condusse a tal sorte la sua vita per anni, finché arrivò a stomacarsi del suo fare e indeciso fra il lasciare questo mondo, farcito della sua iniquità, e restarci per soffrire alla vista di essa, aspettava che fosse la sorte a porgli traguardo.
Non la chiameremo fortuna, ma provvidenza, quella mano che lieve e veloce, dolce e decisa, gli pose la grazia davanti. Senza avvedersene si trovò in mano il regalo del fato, il volere dell’animo, la cosa che gli avrebbe stornato la condotta: trovò l’amore.
Abbandonata l’ascia, riposta la spada, una nuova guerra iniziò per l’eroe maledetto; una guerra assai più dura delle precedenti, più facile da abbandonare. Ma non abbandonò.
Il carattere forgiato da troppe vicissitudini, l’animo reso ostile alla resa da mille battaglie, l’amore che così forte spingeva il suo credo, lo portarono a perpetuare la causa che aveva assunto; mai si arrese, mai si pentì, fu sempre triste vincitore.
Le nubi che aveva sulle genti portato non furono più un suo affare, lo diventò invece quella foschia che abbatteva il cuor di lei.
Mirabile, amabile visione, afflitta dai fantasmi di ieri andava liberata.
Fu lui a portale il sole, con quell’impegno, quella foga che lo resero celebre; sfiancanti battaglie a suon di penna e di parola, condotte con l’animo fiero di chi vuol fare giusto e ha poche armi per arrivare in fondo.
Con lungo cammino le nubi si diradarono, divennero cielo, spuntò il sole, lei fu salva.
E l’animo di lui toccò l’apogeo di un ciclo di afflizione e rinascita, lasciandolo stanco, amaro e felice.
La storia di quell’uomo corre da una ad un’altra bocca ma non se ne conosce la fine;
un epilogo c’è, ci sarà, questo è certo, ma sta ai personaggi stessi scriverlo.
Ciò che noi sappiamo è che partirono insieme per il viaggio più lungo e angusto della loro vita; mano nella mano lasceranno parole e frasi per descrivere il finale, vi porranno la firma e sarà la storia della loro vita.
A noi rimane il gusto e il pregio di raccontare una storia che sa di incredibile e di vero, di speranza, di dolore e di gioia; una storia che sa di vita.

Non c'entra nulla...aparte l'enfasi vagamente eroica...però lo posto; ha accompagnato la penna, diciamo...un saluto in particolare alla mia Donna...lei sa perchè.

martedì 27 ottobre 2009

...NightFall...

so che a molti non piacerà...

pero' è indiscutibile la tecnica canora di Hansi....4 ottave d'estensione...potenza incredibile...modularità vocale unica...

a me dan forza, per questo li voglio qua...sul muro... non vi racconto una storia, per oggi lo fanno loro al posto mio..

let's see what happens...after Nightfall...

http://www.youtube.com/watch?v=PrEm8jMC5Q8

lunedì 26 ottobre 2009

Lo sfogo di un possibile perdente

Non si tratta più di decidere…no…
La decisione è arrivata… odiata, temuta, scansata….veloce, implacabile, inflessibile, bastarda…
Ed ora il tempo diventa sofferenza….truce schiettezza regna nel cuore…ardore, timore…
So bene il da farsi, non so come agire….la trappola è tesa e la cella mi aspetta….
La cella in cui marcirà il mio decoro, nella quale si spegnerà la mia vita se non trovo il coraggio di muovere…
Il loculo in cui triste morrà il ricordo di un lieto dolore, di un benevolo addio allorché io sia tanto impavido da fare…
Chi me lo chiede? Me stesso! Se vuoi vivere conosci la strada, mi dice, se vuoi morire anche…
A me la scelta ora che il sole mi appare come un mulo stordito che fa ogni giorno il suo lavoro, il suo tragitto, senza trarne altro che l’appagamento naturale…quello che deriva nient’altro che dal regolare scorrere degli eventi…
La scelta non sul da farsi ma sul compire…so cosa fare, devo solo agire…
E possa io morire un giorno di vergogna se ora il coraggio mi venisse a mancare….possa io un giorno patire la gogna se decido d’agire….
Nient’altro, solo nubi…e in fondo in fondo un sole che vedo, conosco e non so raggiungere…
Niente punti fermi quest’oggi, solo puntini…perché la sospensione regna sovrana fra le lande desolate dell’impazienza e soprattutto…perché l’adorato punto non lo so mettere…


mercoledì 21 ottobre 2009

Ho Visto...

Ho visto le guerre, ho visto le bombe, ho visto madri piangere i propri figli dilaniati da un crudel destino.
Ho visto la violenza, il sangue, la disperazione la povertà, la falsità, il silenzio lo sconforto.
Ho visto terre bruciate, case distrutte, paesaggi di morte; la sofferenza, le lacrime e l’abbandono.
Ho visto la dipendenza, la depravazione la mancanza di sentimento.
Ho visto lacrime scalfire candidi volti disperati e il vento spazzare via i sogni; ho visto il nero della notte più tenebrosa e il bianco dell’apatia più incalzante.
Ho visto la frustrazione, la delusione, ho visto le genti annichilirsi.
Ho visto tutto con questi miei occhi, ma niente sarà mai così truce quanto il tuo volto sconvolto e il suono della tua voce di quella sera.
Niente mi rese mai più triste.

Ho visto il cielo azzurro, le colline in fiore e i monti innevati; ho visto i ghiacciai emettere un bagliore accecante di gioia rubata e l’oceano sorridere con vergognosa maestosità.
Ho visto la felicità e l’allegria, la spensieratezza e la gioia di esser vivi.
Ho visto pargoli ridere, correre e giocare; ho visto madri amorevoli, animali in festa.
Ho visto i continenti, le foreste, i prati e le spiagge.
Ho visto il bagliore del sole mattutino e il fosco chiarore della luce all’imbrunire; ho visto il vento accarezzare i capelli e le mani di chi sorrideva al giorno.
Ho visto sorrisi far capolino su volti incantati di indubbia gioia e di maestosa sincerità.
Ho visto la magnificenza della natura coi suoi colori privi di disordine e traumi.
Ho visto ciò che di più meraviglioso esiste al mondo ma niente è paragonabile alla bellezza del tuo sguardo e alla luminosità dei tuoi occhi lucidi di quella sera.
Niente mi rese mai più felice.

venerdì 16 ottobre 2009

Un Sogno, in pochi lo capiranno.

Al bordo della strada sto per entrare in una bar, un grosso edificio dai muri rosa pacato dal quale vengono una miriade di voci, canti e lamenti…ogni tanto qualcuno viene defenestrato, presumo dai gestori del locale, per poi rientrare o defilarsi abbandonandone la frequentazione.Decido comunque di entrare, lo spettacolo è avvincente.Una stanza unica, sconfinata, con una quantità abnorme di tavoli, panche e sedie;
c’è chi è seduto da solo, chi si ritrova in gruppo…gente che va, gente che viene: carino, caotico ma carino.
La prima cosa notabile, agli occhi di tutti, è la quantità di persone che tentano di approcciarne altre nelle maniere più disparate; chi porge fiori, chi canta poesie, chi sussurra oscenità e rischia il linciaggio. In un angolo un gruppetto di persone allo stesso tavolo beve birra e gozzoviglia in allegria; all’altro capo della stanza persone scure sono in silenzio…accarezzano il bicchiere mezzo vuoto senza bere e fissano con sguardo vacuo il tavolo, senza proferire verbo.
Al centro dello stanzone il banco del bar.
Due persone vi son dietro, intuisco lo staff del locale: un ragazzo magro sta asciugando con delicatezza un grosso bicchiere dalla famosa forma, uno di quelli tipicamente usati per le torbide birre bavaresi.
Calmo ma attento lo sguardo, mentre strofina il calice ascolta ciò che intorno viene detto, sorride a qualche battuta, ogni tanto interviene, spesso è costretto a lanciare taglienti occhiatacce ai malandrini che noncuranti alzano i toni o semplicemente infastidiscono i clienti.
L’altro membro dello staff è una ragazza…spigliata, con un asciugamano sulla spalla, scivola agilmente tra la macchina del caffè e il frigo per le bibite. Parla volentieri coi clienti, risponde fiera e precisa alle loro domande, si sofferma con pochi e come il collega tenta di mantenere un certo ordine nello stanzone.
Vicino al banco una donna seduta sola.
Tailleur nero, gambe elegantemente accavallate e un grosso cappello in stile inglese; fuma una sigaretta ed è assorta nella lettura d’un libro di poesie. Ogni tanto alza lo sguardo, conversa coi baristi e incessantemente scaccia coloro i quali, tanto affascinati dalla sua figura, le chiedono di unirsi a lei. Preferisce stare sulle sue e leggere, voltandosi ogni tanto a guardare una ragazzina, con sguardo amorevole.
La ragazzina, un po’ paffuta e con tanti capelli mossi è sola al tavolo e su di esso un sacco di fogli sparsi, matite e gomma ovunque. Sta disegnando.
Una tecnica sopraffina, una mano leggera e decisa che incide pezzi di storia, la sua storia, su quella carta per schizzi. Quando sente qualcuno straparlare di una qualche teoria politica alza la testa, come un gatto intento a mangiare quando viene sorpreso da un rumore non troppo lontano. A volte interviene, sbotta, s’arrabbia…poi torna a disegnare. 
Saluta una giovane donna, appena entrata, la quale, accettato il saluto, si dirige al tavolo della donna dal cappello inglese e vi si siede; conversano tranquille per poi salutarsi…una continua a leggere le sua poesie, l’altra si dirige verso il jukebox e fa partire una canzone…un rock americano, grezzo un po’ duro. 
Voglio conoscere queste persone, ma quale per prima? La donna, così di classe, è immersa nel libro, non vorrei disturbare…la ragazzina è ricoperta di gomma fin sopra i capelli, direi che già abbastanza impegnata…la giovane amante della musica sembra così felice appoggiata al jukebox mentre canticchia l’aspra melodia che mi sembra peccato levarle quel momento…i baristi impegnati e attenti, hanno da fare.
La cosa mi blocca ma non vi è aria di ostilità. È solo un problema mio.
A dirla tutta respiro un aria di benevolenza, di accettazione; qualcosa dentro mi dice che parlerò con questa gente.
Degli altri non mi interesso, son solo rumore di fondo; queste poche persone hanno attratto la mia aura, so che un giorno saremo eloquenti, l’uno con l’altro.

Era un sogno, un incubo benevolo avuto in una gelida notte d’autunno.
Oh se ora vi dicessi la verità…direste: quest’uomo è pazzo.
Si perché vi dico che le persone che ho sognato esistono davvero!
Il barista in realtà è una barca…un battello di quelli che vanno ad alcol;
la sua collega è una tigre…sissignore, una tigre blu, niente di più vero.
La donna dal cappello inglese è una dolce e profonda persona, molto misteriosa…tanto da non avere un volto!
La ragazzina, beh…è difficile da inquadrare: è giovane e matura…forte come un leone e al contempo fragile come vetro….è umile bensì a tratti si ponga con boria; è difficile inquadrarla…è tutto e niente.
Perfino la giovane donna dall’animo rock ha un’identità…si che ce l’ha, ed è ben chiara, anche se a volte il suo comportamento la fa apparire mutevole…è un po’ come creta, pongo, plastilina.

Dite la verità, mi credete pazzo vero? Battelli ad alto tasso alcolemico, tigri blu, donne senza faccia, plastiline, tutto, niente! Eppure è così…quel sogno trasmutava la realtà.
È bello poter definire gli altri in modo indefinibile; conoscerli così bene da non saperne spiegare le caratteristiche…essere così lontani da loro da poter condividere un po’ tutto.
Assurdo? Ossimorico? Può darsi…nel dubbio di avervi fatto sprecare parecchi minuti con un banale racconto vi dico, grazie ragazzi…

lunedì 12 ottobre 2009

Traguardi

Mai avrei pensato di protrarmi a tal segno: la vita e la morte s’avvicinano a tal punto da lasciar ben poca aria al polmone dell’esistenza.
Si ancora in me un pensiero tardivo, un istinto di forza come una brezza d’orgoglio che irrora quella boscaglia, fitta e grigia, che il mio cuor costituisce.
La crudezza degli eventi porta la vita e la sparge sul fragile intreccio di sangue e carne, vi porta la fede, la morte e l’abbagliante sogno di un luogo ameno.
Vedo nel sogno un ruscello di montagna che impavido si fa largo fra i boschi…scorre sereno dalle cime alla valle; tutt’intorno prati e abeti, faggi e rocce sotto un cielo pezzato di nubi grigie ma chiare, che l’ombra portano su distese di freschi arbusti piegati solo dal vento che frizza e gioisce.
Che sia il futuro? È un luogo da vedere, in cui fermarsi…la pace dello spirito. Là devo arrivare, stabilirmi, godere di tutto ciò che un tale fazzoletto di mondo invero può offrire.
Arriverà la grandine, passerà la tormenta; e cumuli di rocce appuntite, nere come la pece, rosse come il sangue, si affacceranno come pronte a cadere violente ed inesorabili.
Spezzeranno gli abeti, bloccheranno il ruscello, incupiranno il cielo.
Ogni qual volta la stupidità umana segna un nuovo punto sul tabellone della vita le infauste rocce appaiono, si fanno grosse e concrete, pronte.
Solo l’ardore, il coraggio e quel marasma di pazzie e di immagini credute false ed irrisorie, che noi chiamiamo verità, può bloccarle rispedendole al mittente.
Esangue giace l’eroe che il destino ha combattuto, sfinito è colui che solo lotta per la causa. Un periodo duro, di negligenza, può annichilire e disilludere un cuore fermo, impavido; ma non può ucciderlo, ne stroncarlo, tanto meno fermare il suo battito che pompa sincerità per le vene di chi ha sempre servito la causa del vero con tenacia.

Mi sento stanco, provato, disilluso…che fosse una flebile speranza quella di raggiungere l’ameno luogo? Che fosse pazzia pensare di poterci restare? Forse baldanza, persino arroganza…potrei lasciarmi perdere e pensare che sia inutile la lotta anche se ineccepibile la causa.
Forse troppo magro il bottino.
Ma non posso pensarlo, non riesco a crederlo. Stupido e borioso mi rialzo, a me la spada, si combatte. Ho firmato forse la mia condanna a morte…che sia! Che venga a prendermi ma sappia, la morte, che non mi avrà così facilmente.
Lotterò finche avrò aria nei polmoni, sangue nelle vene, gloria nei muscoli, spavalderia nel cervello..potrò sputare la vita, perderla per sempre, correrò il rischio.

Il pensiero dell’arrivo, credere reale la meta mi fa andare avanti…l’amore che ho nel cuore mi tiene in piedi, le canzoni dei vecchi bardi mi dan forza e fiducia…la mente accesa, il cuore gonfio.
Torneran le lacrime, le cacceremo…mia alleata in te confido, nel tuo amore e nel tuo impegno…
Illusi, ancorati ai nostri pensieri moriremo. Divisi cadremo. Ostinati periremo.
Uniti, solo uniti e forse un po’ diversi, cambiati vinceremo.
 Se morte deve essere che morte sia, sol dopo la battaglia;
se vittoria deve essere che vittoria sia…si va in scena.

venerdì 9 ottobre 2009

Ricordo

9 Ottobre...saprete bene chi morì oggi...se non lo sapete cercate...9 ottobre 1967, Bolivia.

non canterò oggi gesta d'eroi, nè voglio pareri sull'altrui vita....oggi solo un pensiero e un commosso ricordo.

                                                         XoniX

lunedì 5 ottobre 2009

La Lizza

Picchian i ferri, sbatton le lance, fulmini arcani e dolenti paure
l'incontro e lo scontro diventano pietra,la fan da padrone la morte e il vento.

rincorsa fatale di nero destino, brilla la maglia, si srotola il suolo...
avanza, s'inarca, sbuffa e nitrisce, bassa la testa è già rombo di tuono.

la lizza, gli araldi, che sguardo d'amore...muore il vincente e finisce così...
venuto era il vento, solo or si può dire, riecheggian nell'aria di scudi i colori.

l'odore, il dolore, la notte, le fiamme, vincere o perdere
che sia di guadagno?

se può esser soltanto consolatore, sia data la terra a chi l’ha solcata,
sia dato l'amore a chi l'ha voluto, sottratta la vita a chi l'ha sprecata.

giovedì 1 ottobre 2009

Lamento Tardivo

Ascoltami o madre, grembo del tempo e fonte di ascesi…
Tu sola puoi salvarci dalle scelte infauste, che i secoli solcan come lame d’argento, tu sola puoi liberarci dalle auree catene che noi stessi, con fare accondiscendente, ci siam fatti stringere ai polsi da una vana promessa di lodi e stelle.
Nient’altro che uomini fummo in quell’occasione; nell’oblio del vortice di passioni che ci ha trascinato a fondo…a fondo in un mare che sa di speranza, di vergogna e di fine….quel mondo, il tuo mondo, l’abbiamo seccato, denutrito, svuotato…per avere sulle nostre mani i piaceri del tatto e del gusto. Per soddisfare il nostro credo a te, o natura, abbiam tolto la linfa, il coraggio, il nervo.
Tu ora puoi scegliere, implacabile vendicatrice, di salvarci dal nostro destino o di porre fine a quel lungo lamento, a quel deserto di emozioni, a quell’arido, secco corso d’acqua ristagnante che noi chiamiamo futuro…quell’insensato concetto che offriamo ai nostri figli, i tuoi figli, che nient’altro in vita potranno avere se non l’immagine truce e desolata di una terra macabra e solitaria, ridotta alla fame dall’arguzia non mai ostentata di quell’essere che l’ha rovinata….quell’uomo che oggi canta a te la sua fede nel patetico tentativo di procurarsi un posto, anche uno solo, nell’ormai stretto e solitario vicolo della tua pietà.
A te ora, madre di ogni attimo, lenta misuratrice di ogni spasmo, chiediamo di concedere a noi infedeli della tua virtù, un’ ultimo sorriso; se devi eliminarci, se devi porre il tuo martello giudicatore fra noi e la vita, se devi porre fine alla sanguinosa catena d’erronei eventi che noi chiamiamo evoluzione, se sei costretta dalla tua indole buona e severa a diventar portatrice di morte e se ti trovi obbligata a renderci rantolo il respiro…fallo in fretta. Non prolungare oltre la sofferenza, ci abbiam pensato noi soli a procurarci infinita agonia…muovi la mano, veloce e implacabile, decisa e inflessibile e accorcia fin che puoi della sofferenza la durata.
Ricordati madre, che i tuoi figli, per quanto traditori tutti, son composti da diverse schiere….e che tra queste qualcuna più delle altre ha cercato vana di rispettarti…ai figli tuoi a questa legione appartenenti, ti prego, risparmia il dolore estremo di veder la vita finire tassello dopo tassello…a questi almeno, concedi una conclusione veloce, brutale ma veloce….perché soffre di più la margherita spennata lenta nelle lunghe ore di primavera, che la quercia tagliata secca da un colpo d’ascia che scampo non lascia.


Il Bardo...

Chi è il Bardo? È un artista, un poeta, un cantore…colui che scava nell’animo umano e vi estrapola emozioni, gioie e paure…
In epoche lontane fu errante consigliere di re e nobili…ancora più in la nel tempo sedeva sui troni della società al pari dei Druidi.
Oggi un bardo non è nient’altro che un canta storie…vere o immaginarie, fantastiche o plausibili;
la penna per scrivere, qualcosa per suonare, la spada per combattere…
egli non è un giullare da niente, un buffone di corte costretto ad abbracciarsi ad un’irrisoria spada di legno…è un vero guerriero…colui che accompagna i soldati nel campo e ne canta le gesta nei salotti…colui che è un anima sola nel gelido frastuono di una corte…colui che è unico nell’immenso oceano di chi è, o si fa chiamare, artista.