...NEVER GIVE UP, NEVER GIVE IN...

lunedì 25 gennaio 2010

Venite Pure Avanti...

Come, Signori? Come dite?
Si dico a voi, figure imbellettate di giorno, cani spauriti nelle tenebre…voi là in fondo, avete paura di avvicinarmi? Beh, lor signori, se mi temete, perché mi giudicate?
Oh per la carità non v’affannate a negare; il sasso io l’ho visto volare, qualcuno l’ha lanciato…ne conosco la traiettoria, so da dove è partito e ancor più che la sua parabola, mi da i nervi dover costatare che la mano lanciante s’è ritratta nell’ombra.
Voi piccoli, stupidi, vuoti e piatti regolari vi siete permessi di giudicare me…non è vero? Le mie vesti non sono curate, il mio parlare vi suona strano…i miei racconti vi fanno male.
Feriscono nell’orgoglio la vostra bieca bassezza esaltata a ragion di vita dai miei versi infausti, neri come la pece, infilati tra una vostra richiesta di patetica compassione ed un vostro eccesso di boria.
Bene, se di boria n’avete…uscite ora! Uscite da li dietro cani, e venite alla luce.
Il gretto individuo lascivo e schivo che voi dipingete in me è qua che v’aspetta per regolarla, la cosa; avete forse paura? E di che? Siete tanti, parlate tanto, giudicate….non siete i pilastri della nostra società? Bene, tastiamone la robustezza…che se disgraziatamente dovessi frantumarvi, avrei preso due aquile con un leprotto.
Perché oltre a regolare il mio personalissimo conto, affogandolo naturalmente nel vostro sangue, farei crollare quel sovra sistema che reggete sulla gobba.
Lo so signori…non potete permetterlo, per questo non mostrate il fianco.
Beh, non crediate che sia questo a fermarmi! Vi seguirò, vi scruterò e lo farò per sempre…analizzando il marciume del quale siete composti vi schernirò, toglierò ai vostri figli l’onirica possibilità di essere orgogliosi di voi, un giorno.
Vi getterò nell’oblio dei perdenti…la giù, in fondo al nero bitume che vi si confà…griderete pietà, mendicherete compassione e io vi guarderò strisciare ai miei piedi, aspettando che la vostra lercia mano sia ad un dito dai miei stivali per infilarvi la spada nel collo, proprio sotto la nuca.
Uscite su, da quell’angolino, venite al mio tavolo…vi offro da bere, con quei pochi mezzi di cui dispongo. 
Beviamo insieme e brindiamo al nostro scontro…che c’è da temere? Se credete d’esser nel giusto, non avete nulla di che lagnarvi.
Venite, venite…e bevete tutti, che al momento opportuno sarà per me un piacere vedere il mio vino, mischiato al vostro sangue, scorrere sulla mia spada….lungo filo fino all’elso, traboccante dalle vostre viscere.
Almeno avrò la soddisfazione di aver tirato fuori qualcosa di buono, da voi.

venerdì 15 gennaio 2010

Dirimpettaio di Me Stesso

Mi guardo dal balcone di fronte, mi vedo strano, penso, giudico. 
Metto il naso nei miei affari, do una valutazione alla mia vita…fermo, implacabile, inflessibile.
Non me la racconto, non ne ho bisogno…vedo le cose e le descrivo, mi conosco e mi posso criticare, come esaltare.
Dal mio balcone vedo la mia porta, un ragazzo alto e grosso esce fiero, scende le scale.
Un tipo perso dietro libri di storia e romanzi, dietro alla musica, all’ideale politico, a tante cose che ne fanno quasi un esiliato. 
Un fiero migrante ostracizzato da quella società fatta di piattume e ridicolaggine, tanto odiata quanto scansata da lui per primo; son lontane le feste, gli amori, le ragazzate…vedo un tipo alienato, distratto, lucido e confuso.
Lucido nell’analisi di un mondo da buttare, confuso nel chiedersi come l’uomo possa godere di una tale pochezza d’animo.
Giudica perché si sente in alto, lo fa perché è immaturo…fiero di quell’immaturità che la morale vede come valore da disadattato, che lui giudica come un bene primario, utile, tanto utile per tenere lontana l’iniquità della massa.
Guardando quel pazzo, vestito di un costume che accanto agli altri pare carnevalesco, penso ad un recluso, un intellettualoide, un inetto della vita.
Lo seguo, lo scruto e trovo invece la pazzia, gli sport estremi, il pogo dei concerti, le bevute, le tante risse quasi sempre in difese di qualcuno che neanche conosce.
Un distaccato Robin Hood moderno, freddo e cinico, senza pietà né compassione, che odia l’assistenzialismo quanto l’oppressione. Si scalda, scoppia, non si ritira mai, combatte, sbaglia…sbaglia tanto, si rialza, si vendica, chiede scusa. Un turbinio di emozioni, molte negative, lo portano a domandarsi per quanto ancora dovrà farsi carico dell’altrui stupidità, e della sua veemenza.
Alcuni lo amano, lo venerano quasi…molti lo odiano, molto pochi han l’ardire o la pazzia di mettercisi contro.
Mentre tutti cercano una storia, la divisa, i valori da telefilm per teen-agers quel folle si gongola della solitudine, valutandone l’unicità.

Ultimamente son costretto a pedinarlo più del solito, sta cambiando è altalenante…ogni tanto si ferma, piange, trema…perfino ama. Ma come di consueto fa le cose al contrario degli schemi, si fa carico di demoni altrui, fa tutto ciò che l’uomo medio rifiuta, nell’ambito affettivo così come nella vita.
Ne soffre ma lotta, sanguina e spera.
Si rifugia nei non luoghi, tra le pagine dei libri, tra le note delle canzoni; sorretto da se stesso tira avanti e guarda me. Sa che lo scruto e lui scruta me; come dargli torto? Ci apparteniamo, ci condividiamo, analizziamo e giudichiamo….siamo entrambi giudice, giuria e boia di noi stessi e l’un dell’altro.
Interessato ed impaurito continuo nevrotico a fargli da ombra, a tenerlo d’occhio…infondo è questo il mio compito: sono il dirimpettaio di me stesso.

lunedì 11 gennaio 2010

Quattro Nere Pareti.

Quattro nere pareti, il lugubre sfondo del mio teatro dell’assurdo.
Una stanza buia, il palco dove quasi ogni notte mi esibisco nella patetica parte di colui che rimugina, rimesta, rimpiange.

Steso sul letto, altare sacrificale, occhi spalancati e impotenti nelle tenebre, mi immagino vuoto mentre un liquido mi riempie, come una botte…sale, su fino all’orlo…ricordi, pensieri.
Una lacrima sbuca fra palpebra e bulbo oculare, come la lingua del ghiacciaio avanza lenta e gelida, solcando la terra , creando la valle: un altro squarcio sul volto.
Ed ecco che in quel momento il rancoroso demone dell’agonia mi erutta dal ventre, infila la mano violenta nel petto, afferra il mio cuore e per quello mi trascina dentro me stesso.
Un involuzione balenante…mi trovo, con una sorta di fantasma del passato accanto a mirar due quadri, due scene.
Nella prima vedo il bardo di qualche tempo fa che cinico e spietato ritrae il mondo e la sua vigliaccheria, descrivendone la gretta condizione e la pochezza d’animo.
Fiero e spregevole para qualsiasi colpo del nemico, tira brucianti affondi nel ventre dell’ipocrisia, squarcia le carni della morale, ghignando e starnazzando frasi di disprezzo.
Nell’altra lo vedo, pochi istanti fa, steso sul letto…occhi sgranati nel buio, corpo immobile; una lacrima gli solca il viso.
Che scena patetica…mentre la storia avanza, col mondo agonizzante ridotto ad un ciarpame, guazzabuglio di mediocrità, lui sta lì…a compatirsi, a rimuginare ad aspettare che la noia e la stanchezza gli ridonino il sonno. 
Inerme come un cadavere che attende il freddo becco dei corvi, lascia che la gloria esploda attorno a lui.
Distrutto da quella visione mi ci butto, come se tentassi di ammazzarlo…mi sveglio e mi ritrovo in quella scena, dalla parte dell’attore.

Sono autore, direttore e pubblico della mia iniquità, maestro del mio divenire carne da macello per quel futuro che mostra solo disarmo.
Niente sacrificio, niente vittoria…nessun sacrificio, nessuna gloria.
Quel folle gesto che non oso fare è la chiave per quel radioso futuro che tanto inseguo e la mia rabbia, balenante come una spada, non sa se trafiggere il primo bersaglio a tiro o il braccio stesso che la muove.
Registro questa notte tra la muffa delle memorie: è un’immagine, sarà parola.
Di certo domani avrò scordato metà di ciò che ho in mente, ma ciò che ho nel cuore sarà ancora tale: la stessa melma, il medesimo ardore.

11 Gennaio 2010 ...11 anni dopo.

Riservo uno spazieto del muro per ricordare colui che, più di altri, mi ha insegnato che le aprole possono rappresentare, oltre che il mondo, l'animo e le gesta morali delle persone...

Un saluto a colui che dipingeva la pace col pennello del caos, deridendo la morte, piangendo la vita...

Ciao Faber, sei stato uno di quelli da te cantati "che al cielo ed alla terra mostrarono il coraggio."